10 marzo 2017

RECENSIONE " LASCIAMI ANDARE, MADRE" di HELGA SCHNEIDER

SALVE A TUTTI VIAGGIALETTORI BENVENUTI O BENTORNATI SUL MIO BLOG!!!


Eccomi di nuovo con il consueto appuntamento del venerdì di recensione! Si, lo so che ormai siete subissati dai post con le mie opinioni sui libri, ma quelle che non escono di Venerdì sono tutte legate alle sfide di lettura che sto facendo.

Visto che una parvenza di ordine vorrei ancora darla a questo mio angolino, nonostante tutto questo gran pubblicare, eccovi la recensione del Venerdì ;-)
Bene, dopo tutto questo chiacchierare vi lascio al post... BUONA LETTURA!!!






TRAMA: Helga e sua madre non si vedono da quasi trent'anni. La madre, ormai novantenne, si trova in una casa di cura a Vienna ed Helga, dopo essere stata contattata da un'infermiera e da una amica della madre, decide di andare a trovarla. Ultimo colloquio/non colloquio tra due donne tanto vicine quanto distanti. Un viaggio nei ricordi e nel dolore di un rapporto che rimarrà sempre fratturato.



Titolo: Lasciami andare, madre
Autore: Helga Schneider
Casa Editrice: Adelphi
Anno: 2001
Pag: 131
Prezzo: 9,00 euro






VALUTAZIONE:



Dopo un tempo relativamente breve sono di nuovo incappata in un libro della Schneider, l'ultimo che ho nella mia libreria, sebbene io abbia un suo ebook ancora da leggere.
Un'autrice che mi piace molto sebbene io dia, ai suoi libri, un giudizio sufficiente.
Permettetemi di spiegarvi il perché... Quando ci si avvicina alla Schneider, poche volte si legge un romanzo, io ho letto tre dei suoi scritti e solamente uno riguardava una storia di altri personaggi che non la coinvolgevano direttamente. Gli altri due libri, compreso questo, sono delle testimonianze dirette della sua vita personale e non mi sento mai a mio agio a dare un voto quando si tratta di questo tipo di letture, per questo motivo, quando mi risulta interessante la lettura, metto tre farfalle così il giudizio è positivo.
Bene, dopo questo excursus, dire di cominciare a parlare del libro e di cosa ne ho pensato.

Partiamo con il considerare il fatto che i libri della Schneider non sono mai dei mattoni, al massimo possono aggirarsi attorno alle 250 pagine e quando sono più alti hanno un font più grande del normale. Vi dico questo perché ogni volta rimango piacevolmente stupita dal fatto che, in poco spazio, l'autrice riesce ad essere così coinvolgente da non farti staccare dalle pagine fino a quando non finisci la lettura del libro.
Come avrete capito questo è quello che mi succede ogni volta che leggo un suo libro!
La "storia" che l'autrice ci racconta in questo piccolo volume riguarda l'incontro che ha avuto con sua madre nel 1998 in una casa di cura a Vienna.
Fin da subito è chiara la difficoltà di compiere la visita ad una donna che ha abbandonato i suoi figli scegliendo di dedicare la sua vita alla causa hitleriana. E tutto il disagio che Helga prova nel rivedere sua madre è palpabile in ogni pagina, anche in quelle in cui è riuscita a stabilire una sorta di dialogo con lei.

"Mi sento al centro di un palcoscenico, protagonista involontaria di un melodramma scadente. Quella scena mi sembra volgare e ridicola. Tutto è molto diverso da come me lo ero immaginato. Vorrei essere altrove, vorrei non essere mai venuta qui. Questa donna, mia madre, non merita gli sforzi che fatto e le mie buone intenzioni.    La guardo: ora estrae dal mazzo alcuni fiori e li getta ai curiosi, senile e patetica, crudele e romantica. Così erano i membri dell'ordine nero di Himmler, comprese le donne come lei, le SS in gonnella."

Helga Schneider è una donna che non ha mai nascosto l'avversione nei confronti di sua madre, ma quello che più mi colpisce è il fatto che, nonostante tutto il male che le ha fatto, non riesce ad odiarla, rimanendo, la madre, consapevole delle sue azioni e delle sue scelte che non hanno mai compreso lei, suo fratello o suo padre.
Quello che leggiamo in questo libro è un ulteriore tentativo che la scrittrice fa per cercare un motivo di odio nei confronti di sua madre, e lo cerca facendole ricordare il passato, il suo essere crudele e spietata con persone innocenti, il suo appoggiare una causa che non ha fatto altro che danni, facendole rivangare il passato legato ai suoi figli e alla sua famiglia.
Il ritratto che viene fuori di questa donna, ormai impazzita o colpita da demenza senile, o alzheimer chi può dirlo, è quello di una persona che fino ad ora, dopo anni e anni, è convinta di aver fatto la cosa giusta quando a Birkenau o Ravensbruck aiutava i medici a bloccare le vittime per fare su di loro degli esperimenti scientifici, quando ha scortato i prigionieri, uomini, donne e bambini compresi, a morire nelle camere a gas, a dare il colpo finale a tutti coloro che, uscendo solo frastornati da quelle camere, dovevano essere uccisi per evitare che la razza ebrea continuasse a proliferare. Una donna che, nonostante la palese instabilità, continua a giocare al carnefice quando la figlia le chiede degli anni passati nei campi di sterminio.
Una donna crudele, spietata e che gioca con il suo deficit mentale per manipolare una figlia che, ai suoi occhi potrebbe essere ancora quella bambina abbandonata per il Reich e che furbescamente (forse) preferisce sapere morta, nonostante l'avesse proprio davanti a se.
Confesso che il dialogo tra madre e figlia descritto in questo libro è un continuo pugno allo stomaco, è un continuo tira e molla tra ricordo e tentativi di avere un dialogo serio con una donna che mostra freddezza, anaffettività, crudeltà e allo stesso tempo la fragilità di chi sembra cercare protezione da un mondo di cui non si sente più parte integrante.

"Guardo mia madre, con un senso di rassegnato risentimento. Peccato, ancora una volta è sfuggita alla verità. E' furba, sleale, perfino ipocrita. Ma è mia madre. E questa è l'ultima volta che la vedo...Con un brivido cerco il suo sguardo, ma ora è come inafferrabile. Lei contempla se stessa, guarda dentro di sé, vede solo ciò che vuole vedere. Mio Dio, penso, che cosa mi rimarrà di quest'incontro? Quale verità mi ha offerto in queste due ore, se non l'enfasi dei pochi segmenti di memoria che ancora le stanno a cuore, che toccano il suo orgoglio o la sua vanità? Insiste a parlare di Hilde, per esempio, la mia zia acquisita. Dello stagno di Kostendorf non vuole ricordarsi, preferisce sfogare il suo antico rancore verso colei che all'epoca aveva presentato a mio padre la bella e giovane Ursula."

Anche questa volta la Schneider non mi ha deluso, sicuramente alcune delle cose che ho letto in questo libro le avevo già lette ne Il rogo di Berlino ma questo non significa che sia da considerare meno quanto ci viene raccontato.
Come di consueto alla storia personale della scrittrice si unisce quella del mondo, con il racconto delle storie dei campi di concentramento e di quello che succede anche a chi non viene imprigionato al loro interno.
Ne emerge un quadro drammatico, soprattutto in relazione al rapporto tra madre e figlia che, in realtà, è un NON RAPPORTO. Helga è nata da una donna che ha vissuto con lei per soli 4 anni e che poi ha visto solamente altre due volte in tutta la sua vita. Una situazione molto difficile nella quale nonostante la brutalità delle scelte della madre, Helga non riesce a diventarne giudice. 
Il dialogo tra le due donne è impersonale, è freddo, distaccato, ovviamente non ci si può aspettare nulla di diverso, soprattutto sapendo che non hanno mai avuto un rapporto o un dialogo da persone civili, se possiamo dire così. Le uniche manifestazioni d'affetto che la madre di Helga dimostra vengono fuori solamente nei momenti di "crisi" di memoria, o quando Helga la "minaccia" di andarsene. Per il resto dimostra di essere fredda, calcolatrice, e manipolatrice.

Per quanto mi riguarda credo che sia molto difficile vivere con una sofferenza simile, l'abbandono di una madre nel pieno delle sue facoltà mentali, il guardarla perseverare a ritenere giusto un ideale che sostiene la violenza e l'annientamento dell'uomo, vedere la sua "debolezza" nel giustificare i suoi comportamenti con l'addestramento alla disumanizzazione cui venivano sottoposti tutti coloro che avrebbero dovuto controllare i campi.
Credo che l'autrice sia andata a quell'incontro per cercare di trovare un motivo per odiare una madre per la quale proprio non riesce a provare odio, nonostante tutto.
Una lettura molto intensa e che in molti punti mi ha lasciato con il fiato sospeso, soprattutto perché veniamo a conoscere la spietatezza e la lucidità dei carnefici di Hitler e soprattutto il fatto che siano sempre pronti a giustificare tutti i loro abomini.
Nel libro si parla di Ravensbruck e degli esperimenti scientifici che vedevano le donne e i bambini come protagonisti e sicuramente andrò a cercare qualcosa a riguardo.
Un libro che ancora una volta fa riflettere su quanto è successo e su cosa è stato fatto, soprattutto, le varie ricerche che venivano fatte sulle persone.
Insomma un libro che mi ha offerto tanti spunti di riflessione, sul rapporto con i genitori, su quanto è successo, su come sia possibile ancora accettare e condividere quella politica, su come sia stato possibile, per quella donna, scegliere il Reich alla sua famiglia.
In realtà ci sono dei punti, nel libro, che mostrano dei cedimenti di questa madre, ma sono estremi tentativi di eliminare da se stessa qualsiasi tipo di debolezza.

Inutile negare che si tratta di un libro molto triste che racconta di una situazione drammatica soprattutto per la consapevolezza di non poter mai recuperare una frattura così profonda da non poter essere arginata in alcun modo.
Un libro che mi ha colpito per quanto contenuto e che, come al solito, non punta a suscitare pena per l'una o l'altra parte coinvolta, quanto a voler testimoniare cosa sia successo.


"Mi distraggo. Il mio pensiero corre ancora una volta alle vittime, alle tante storie che conosco, che ho letto o che mi sono state raccontate. Penso anche, madre, che solo odiandoti sarei finalmente capace di strapparmi dalle tue radici. Ma non posso. Non ci riesco."

Spero di avervi incuriosito nella lettura di questo libro, potrebbe essere un buon punto di partenza per chi vuole approcciarsi all'autrice e per chi vuole conoscere una esperienza di guerra che non necessariamente riguardi l'olocausto, sebbene ci si vada molto vicino.
Io credo di aver detto tutto quello che c'era da dire, vi saluto, vi mando un abbraccio e vi auguro di fare buon viaggio tra le pagine dei vostri libri!!!

2 commenti:

  1. Ciao Mikla, bellissima la tua recensione anche perché sei riuscita a trasmettere tutta la drammaticità di questa storia. Ero curiosa di conoscere la tua opinione su questo libro, un libro forte e intenso che ora voglio assolutamente leggere, nonostante io sappia già che mi farà "soffrire". Grazie dei tuoi consigli, sul tuo blog trovo sempre molti spunti interessanti!

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    1. Ciao :-D Grazie mille per le tue parole ... Sono contenta se riesco a darti degli spunti di lettura, significa che raggiungo il mio scopo con i post che scrivo :-) Spero ti piaccia quando lo leggerai!!!

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